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Tutti i collegamenti tra Zonin, la Banca Popolare di Vicenza e gli uomini di Visco

Di Rassegna Stampa Martedi 12 Gennaio 2016 alle 02:03 | 0 commenti

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L'allusione della Boschi su Banca Etruria e BPVi rivela il legame particolare tra Zonin e Bankitalia preludio alla "difficile" situazione attuale
di Marco Palombi
L’attacco è di violenza inusitata. Scolpisce Maria Elena Boschi sul Corriere della Sera di domenica: “Mi fa sorridere il fatto che alcuni autorevoli esponenti oggi prendano determinate posizioni, pur sapendo che sono le stesse persone che un anno fa suggerivano a Banca Etruria un’operazione di aggregazione con la Popolare di Vicenza”.

Quei “personaggi” sono il governatore Ignazio Visco e il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo: Banca d’Italia, infatti, accusò per iscritto l’ex cda di Etruria - tra cui il vicepresidente Pier Luigi Boschi - di aver “lasciato inevasa la richiesta della Vigilanza di realizzare un processo di integrazione con un partner di elevato standing” , cioè Pop Vicenza e cioè “l’unica offerta giuridicamente rilevante presentata” (sempre Bankitalia, però, ha poi scoperto che i vertici dell’istituto veneto non fecero votare quell’offerta in consiglio d’amministrazione). 
Per il ministro delle Riforme, quel matrimonio si sarebbe rivelato un bagno di sangue anche peggiore del decreto “salva-banche”. Probabilmente ha ragione, ma la portata dell’attacco arrivato da Palazzo Chigi a via Nazionale è assai più vasta della sola vicenda Etruria. Pop Vicenza è un nervo scoperto di Bankitalia per più motivi: rapporti personali, vigilanza lasca, ruolo dell’istituto nel risiko bancario sponsorizzato da Palazzo Koch.

Gianni Zonin, uomo di multiformi relazioni
Che fosse benvoluto a via Nazionale non è un mistero. D’altra parte Gianni Zonin, presidente di Popolare Vicenza dal 1997 (in cda dal 1983), “viticultore prestato alla finanza”, ha un talento vero nel tessere relazioni. Per limitarci a quelle con Banca d’Italia basti citare i nomi di cui si è circondato negli anni: tra il 2006 e il 2008 l’ex ispettore della Vigilanza Luigi Amore diventa responsabile dell’Audit interno; nel 2011 entra in cda, da vicepresidente, l’ex Ragioniere dello Stato Andrea Monorchio, uomo di molteplici e antichi contatti a Palazzo Koch; nel 2013 va a Vicenza a fare il capo delle relazioni istituzionali Gianandrea Falchi, ex capo della segreteria particolare di Bankitalia quando governatore era Mario Draghi.
E mica solo nomi, ci sono pure un paio di incroci pericolosi. Nel 2014 Popolare di Vicenza decide di acquistare (per 9,5 milioni) nella città palladiana Palazzo Repeta: il venditore era Bankitalia, che tentava di piazzare l’immobile senza riuscirci da un quinquennio. C’è poi il caso della Banca Bene, piccola Bcc del cuneese, commissariata nel 2013: ebbene l’uomo inviato da Banca d’Italia, Giambattista Duso, aveva depositato quasi tutti i soldi dell’istituto piemontese in Popolare di Vicenza, operazione che viola il tetto prudenziale indicato dalle regole della stessa Vigilanza. L’ex presidente di Banca Bene, Francesco Bedino, denuncerà il conflitto d’interessi di Duso, che era anche amministratore delegato di Marzotto Sim, società di intermediazione immobiliare partecipata da Popolare di Vicenza.

Vicenza compra tutti (o almeno lo dice)
Il ministro Boschi ha ricordato a Visco e Barbagallo che volevano vendere una banca messa male a un’altra malmessa anche lei. Ma Etruria non è l’unico caso in cui la Popolare di Vicenza ha vestito i panni del cavaliere bianco: il suo nome è venuto fuori tra i possibili acquirenti anche di Banca Marche e CariFerrara (altre due “salvate” il 22 novembre), per Veneto Banca (l’istituto di Montebelluna è messo male anche lui), la Popolare di Marostica e la Popolare di Spoleto, poi venduta a Banco Desio (Visco e i tre commissari risultano indagati dalla Procura umbra su denuncia dei vecchi soci di Bps). Tutte queste trattative, a volte anche molto lunghe, sono parte del progetto espansivo di Zonin sponsorizzato da via Nazionale, ma non approdano a nulla: in molti casi, però, sono servite a tranquillizzare azionisti e risparmiatori degli istituti coinvolti, tenendone “alti” i titoli. Tutto questo fino all’autunno 2014: quando la titolarità della Vigilanza sugli istituti più grandi passa da Roma alla Bce, a Francoforte partono le danze.

La vigilanza distratta e i soldi andati in fumo
Gli ispettori di Visco e Barbagallo – che hanno esaminato Vicenza 7 volte in un decennio – hanno guardato la banca aumentare senza sosta il valore delle sue azioni (non quotate): nel 1996 valevano 27,1 euro, nel 2011 62 euro e mezzo, una performance che nemmeno Goldman Sachs. Ora, dopo una svalutazione del 23% (48 euro), la quotazione in Borsa si avvicina e gli analisti prezzano quei titoli a 10-12 euro: un bagno di sangue per 117mila azionisti, molti dei quali hanno partecipato ai due aumenti di capitale autorizzati da via Nazionale negli ultimi anni per oltre un miliardo.
Solo a 2014 inoltrato, infatti, Banca d’Italia scopre quel che si scriveva sui giornali: Pop Vicenza riacquistava azioni proprie senza dirlo e/o le piazzava ai clienti prestandogli i soldi. Titoli che, però, non possono essere inseriti tra i requisiti patrimoniali: a breve Vicenza farà l’ennesimo aumento di capitale (1 miliardo). È a questa vicenda di mancata vigilanza e rapporti incrociati che allude il ministro Boschi tirando in ballo scelte e ruolo dei vertici di Palazzo Koch negli ultimi anni. Gli interessati non hanno gradito: siamo solo all’inizio.
Da Il Fatto Quotidiano


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