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Ciambetti: le tasse più alte sui lavoratori e le agevolazioni fiscali da paradiso per i Signori delle Trivelle

Di Redazione VicenzaPiù Martedi 29 Marzo 2016 alle 14:38 | 0 commenti

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Riceviamo da Roberto Ciambetti, presidente Consiglio regionale Veneto, e pubblichiamo
“ …il bel paese / ch'Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe “ scriveva  Petrarca, il Bel Paese  che affascina turisti e visitatori per le sue testimonianze di storia e arte, per la sua cucina e i vini, le spiagge, il sole e il mare è una miniera di paradossi che indignano. Il caso dei petrolieri è forse tra i più inquietanti e di attualità visto il referendum del 17 aprile dove si dovrà se difendere l’ambiente, la natura, il turismo e la pesca o arricchire i Signori delle Trivelle. Ma andiamo per ordine.

Secondo la Corte dei Conti il nostro paese è al secondo posto nell’Unione Europea  “quanto a prelievo gravante sui redditi da lavoro con il 42,8%, quasi otto punti oltre la media europea” mentre  sul prelievo dei redditi d’impresa l’Italia si piazza invece al terzo posto, con circa il 26%, “ossia ben oltre la media Ue” e siamo  “al quarto posto sia nel prelievo sugli immobili sia in quello gravante sull’energia”.  Ma il magistrato contabile  punta l’indice anche contro i meccanismi fiscali e nota: “Il fenomeno delle agevolazioni si estende a tutto il sistema tributario. Rispetto al 2011 (720 agevolazioni e un vuoto di gettito per 254 miliardi), si può oggi stimare una significativa dilatazione sia nel numero (799) sia nella perdita di entrate che ne deriva (313 miliardi)”. Questo, per la Corte dei Conti, “spiega la collocazione dell’Italia al secondo posto nella graduatoria internazionale sul livello di erosione del sistema fiscale”. In pratica a fianco di tartassati ci sono agevolati di lusso e tra questi, appunto, i Signori delle Trivelle che punteggiano soprattutto l’Adriatico italiano con le loro piattaforme, guardandosi bene dall’andare in Croazia visto che dall’altra sponda pagherebbero royalties  5 volte più care che da noi. In Italia dal 2010 per le estrazioni in terraferma la royalty è del 10% su petrolio e gas, mentre in mare dal 2012 ci sono due diverse aliquote: 10% per il gas e 7% sul petrolio. Altrove i diritti per lo sfruttamento dell’oro nero vanno dal 25% della Guinea all’80% di Norvegia e Russia, passando per il 37 per ceto della Germania o il 60 per cento dell’Alaska. Oltre alle royalties basse, l’Italia pratica anche franchigie incredibili per cui  i Signori delle Trivelle  non pagano nulla se producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di 50mila in mare. Non pagano nulla, ma vendono (e incassato) tutto ugualmente.

Stando ai dati del Mise, nel 2015 (per la produzione del biennio 2013-2014) otto società hanno versato 340 milioni di euro: 218 l’Eni, in testa, circa 94 la Shell. Alle Regioni sono andati 159 milioni, il resto al Fondo di sviluppo economico e social card (76 milioni), allo Stato (50), all’Aliquota Ambiente e Sicurezza (27) e, infine, ai Comuni (26). Se avessimo applicato le royalties croate l’incasso sarebbe stato almeno cinque volte maggiore, cioè oltre un miliardo e 600 milioni di introiti perduti per fare un favore ai petrolieri, che sono i veri  padroni del petrolio e del gas che viene estratto in Italia, pari al 9.9 per cento dell’intero fabbisogno nazionale.

Royalties ridicole, guadagni altissimi, mentre siamo il Paese in cui il prelievo fiscale sui redditi da lavoro arriva al 42,8 per cento. Il referendum del 17 aprile serve a scoprire letamai di questo tipo che dovrebbero scuotere dall’oblomovismo l’elettore italiano, quel disinteresse al voto  su cui invece contano i Signori delle Trivelle la cui capacità di persuasione se non corruzione di governi e parlamenti, la storia insegna, è tremenda. Le Repubbliche delle banane, e non solo loro,   ne sanno qualcosa.

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