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Boschi su Banca Etruria del padre non sa nulla ma... dice: evitato il flop di BPVi

Di Rassegna Stampa Lunedi 11 Gennaio 2016 alle 12:32 | 0 commenti

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Per essere un ministro che ha rivendicato una totale separazione tra le attività di suo padre e la propria da ministro, Maria Elena Boschi è piuttosto loquace a proposito della Banca Popolare dell’Etruria amministrata fino al commissariamento dal papà Pier Luigi. E smembrata dal governo in una good bank e in una bad, azzerando azioni e obbligazioni subordinate di molti risparmiatori. “Come governo abbiamo fatto quello che era giusto e doveroso fare, rispettando regole che l’Europa ci impone.

Siamo intervenuti per salvare un milione di correntisti di quattro banche, perché non c’è solo Banca Etruria”, spiega a Maria Teresa Meli del Corriere della Sera, dopo aver premesso di essersi presa una breve vacanza per relax e non per nascondersi, vista la sua scarsa popolarità recente.

La Boschi, che in almeno due consigli dei ministri riguardanti le banche ha ritenuto di non partecipare per evitare accuse di conflitto di interessi, questa volta dimostra di conoscere bene le vicende interne alla banca e ne commenta addirittura le strategie. La frase cruciale è questa: “Se la cosa non fosse così seria, mi farebbe anche sorridere il fatto che alcuni autorevoli esponenti oggi prendano determinate posizioni, pur sapendo che sono le stesse persone che un anno fa suggerivano a Banca Etruria un’operazione di aggregazione con la Banca Popolare di Vicenza. Se fosse stata fatta quell’operazione credo che oggi avrebbero avuto un danno enorme i correntisti veneti e quelli toscani”.

I guai della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio erano noti almeno dall’ispezione della Banca d’Italia del 2013. Proprio via Nazionale, consapevole della fragilità dell’istituto, prova a spingerlo verso una fusione con la più grossa Banca Popolare di Vicenza (indicata, in una fase, come cavaliere bianco anche per la Banca Marche, oggi smembrata). Nel maggio 2014 il presidente dell’Etruria Giuseppe Fornasari si deve dimettere per un’indagine (gran parte delle accuse, a cominciare dal falso in bilancio, sono cadute). Ascende al suo posto Lorenzo Rosi che si porta come vice Pier Luigi Boschi, fino ad allora semplice membro del cda per i suoi rapporti col mondo degli agricoltori locali. Compito di Rosi-Boschi è proprio guidare l’Etruria verso una fusione e salvarla.

Ma bloccano l’offerta della Popolare di Vicenza (oggi malconcia): secondo le ricostruzioni della stampa locale, gli orafi di Arezzo temevano l’aggregazione del loro istituto di credito con quello dei concorrenti vicentini. Quando la Popolare dell’Etruria viene commissariata, nel febbraio 2015, via Nazionale contesta proprio la mancata fusione, che ha condannato l’istituto: “Non è stata portata all’attenzione dei soci l’unica offerta giuridicamente vincolante (quella avanzata dalla Banca Popolare di Vicenza di 1 euro per azione estesa al 90 per cento del pacchetto azionario) per divergenze riguardo alle modalità di aggregazione”.

A quel punto è troppo tardi, del patrimonio della banca non è rimasto più niente, il tentativo delle autorità di vigilanza di cercare una soluzione “di sistema” combinato con i localismi aretini aveva ormai messo le premesse per il disastro esploso con il decreto del governo del 26 novembre, quello che ha trasformato l’Etruria in una bad bank.

Nella sua intervista, il ministro Boschi sostiene che, se si fosse fatta l’operazione voluta da Bankitalia, avvrebbero sofferto “i correntisti” aretini e veneti. Attenzione: il decreto del governo non ha sfiorato i conti correnti. Con le nuove regole, i depositi vengono intaccati solo se il dissesto della banca è totale, con perdite enormi. Sembra che la Boschi accusi il governatore Visco di aver tentato di causare questo apocalittico scenario. Per fortuna, è il sottinteso, papà Boschi e il governo Renzi-Boschi hanno spinto l’Etruria in un’altra direzione.

di Stefano Feltri da Il Fatto Quotidiano


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