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Pfas, gli allevatori di Confagricoltura: "inefficienze e spreco di soldi"

Di Redazione VicenzaPiù Lunedi 25 Aprile 2016 alle 20:33 | 0 commenti

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Confagricoltura Veneto

“Le istituzioni regionali hanno buttato via tre anni facendo i campionamenti malissimo, senza coordinamento tra le diverse Ulss e senza una metodologia univoca. Il risultato è che ad oggi sulle sostanze Pfas non abbiamo dati certi, né un piano di controllo valido sugli alimenti. Eppure si decide di chiudere i pozzi a scopo precauzionale, mettendo a repentaglio centinaia di aziende agricole venete che già stanno vivendo un momento di gravissima sofferenza”.

Sono stati alla finestra per seguire l’evolversi dei fatti, ma adesso gli allevatori di Confagricoltura Veneto non riescono più a tacere e danno voce alla rabbia di tante aziende che, con l’estate alle porte, tremano all’annuncio della possibile chiusura dei pozzi privati e delle analisi periodiche a proprie spese.

“Ci chiamano tutti i giorni allevatori preoccupati per il futuro delle loro aziende – dice Michele Barbetta, allevatore padovano e presidente degli avicoltori di Confagricoltura Veneto -. Con le uova scese a 50 centesimi il chilo, il consumo della carne rossa scesa a picco e quella di maiale in crisi nera tutto il comparto rischia un’ulteriore mazzata a causa della gestione negligente e caotica di un’emergenza che avrebbe dovuto essere affrontata tempestivamente e con una regia precisa e determinata. Invece le istituzioni, nonostante fossero a conoscenza da tre anni del problema, si sono mosse a tentoni, spendendo 500 mila euro solo per la prima tornata di analisi dal 2013 al 2015, che oggi sono inutilizzabili a causa dell’assenza di una metodica e di un metodo scientifico condiviso. Sappiamo che ogni Ulss ha utilizzato metodologie proprie, senza valori di riferimento ministeriali. Sappiamo che la Regione non ha assunto un ruolo nel monitoraggio e nella valutazione dei dati. Sappiamo che Arpav non è stata coinvolta nell’analisi ambientale. Sappiamo che non è stato fatto un campionamento scientifico e approfondito sugli alimenti. E solo una settimana fa, dopo tre anni in cui si era a conoscenza del problema Pfas, sono state inviate alle Ulss le linee guida sull’uso dell’acqua dei pozzi in agricoltura”.

Barbetta contesta che ora a pagare le spese di questa malagestione siano gli allevatori: “Se noi sversiamo un bicchiere di olio esausto del trattore nei campi riceviamo la visita dell’Arpav che si rifila una sanzione salata – attacca -, mentre lasciano aperte le porte della ditta di Trissino che ha causato un inquinamento senza precedenti. E’ comodo per i sindaci fare le delibere e dire che adesso dobbiamo fare a nostre spese le analisi dei pozzi, quando dovrebbero cominciare a risanare un territorio che sta scontando anni di lassismo sul fronte dell’inquinamento chimico. Ricordiamo che il Fratta Gorzone è diventato dal 2000 il ricettacolo di tutte le porcherie della provincia vicentina, che viene immessa nel territorio di Cologna Veneta. Ora vogliono spendere altri soldi pubblici per allungare il tubo del collettore e scaricare altrove i liquami. Noi diciamo: smettiamo di sprecare le risorse e utilizziamole per aiutare gli agricoltori, installando nei pozzi privati filtri di depurazione delle sostanze Pfas”.

Rincara Enrico Pizzolo, allevatore vicentino e presidente della sezione Bovini da Carne di Confagricoltura Veneto: “A fare le spese delle incapacità politiche siamo sempre noi agricoltori. Chiudere i pozzi a scopo precauzionale, prima di aver compiuto analisi serie sui rischi, è una follia. Io, che ho un grande allevamento, non saprei neppure dove prendere 30 mila litri di acqua al giorno. Sarei costretto a chiudere e con me altre decine di aziende di grandi dimensioni. Noi diciamo che prima servono analisi serie sugli alimenti, per capire se, come e quanto le Pfas hanno lasciato residui. Il mais, ad esempio, non risente di queste sostanze. Anche la carne, che ha un processo lungo di lavorazione, smaltisce le tracce di residui. Perciò sediamoci a tavolino e cominciamo a programmare un lavoro serio, scientifico e coordinato per evitare allarmismi ingiustificati, azioni che sparino sul mucchio e strumentalizzazioni politiche”.

Confagricoltura ricorda che tutto il settore zootecnico sta vivendo una difficilissima situazione di mercato. Nel 2015, secondo i dati di Veneto Agricoltura, il prezzo del latte è calato su base annua di oltre il 10%, mentre la carne bovina ha subìto la pesantezza dei mercati al consumo, registrando quotazioni in ribasso e un’analoga contrazione produttiva. Il comparto suinicolo ha subito un calo dei prezzi del 7% e il medesimo andamento, anche se in misura meno accentuata, è stato osservato per la carne avicola.

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