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Obbligazioni bancarie, mini tassi e l'illusione del «rischio zero»

Di Rassegna Stampa Domenica 3 Gennaio 2016 alle 11:03 | 0 commenti

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Investimenti a rischio zero non esistono: il free-risk sui mercati finanziari è pura illusione, il pasto gratis, il free lunch, è un miraggio. Qualsiasi strumento finanziario comporta un rischio per chi lo acquista: azionario, obbligazionario, subordinato o senior. Che sia un rischio di credito, insolvenza, tasso d'interesse o di cambio, liquidità, geopolitica, un cigno nero. Persino i risparmi stipati sotto il materasso sono esposti al rischio di inflazione e quindi di perdita di potere di acquisto. Esistono invece - e lo saranno anche in questo 2016 dominato dal quantitative easing della Bce - strumenti con rendimenti a tasso zero o addirittura sotto zero, dove il rischio c'è ma, per quanto basso, non è remunerato, colpa anche di un'inflazione che si ostina ad orbitare attorno al valore zero.

Il problema è che dal 2007 ad oggi, da anni i mercati passano di anomalia in anomalia: il bail-out delle banche da parte degli Stati e poi il bail-out di quegli stessi Stati da parte dei meccanismi europei di stabilità EFSF-ESM sono da considerarsi interventi inevitabili nel contesto della crisi dell'euro ma in un certo senso hanno anche distorto le regole basilari su cui poggia il sistema finanziario: hanno alimentato l'illusoria aspettativa che i rischi possano essere cancellati dall'oggi al domani con un colpo di spugna. Nulla di più falso: i contribuenti dei Paesi protagonisti dei bail-out, tanto dal lato dei debitori quanto sul breve termine da quello dei creditori, hanno corso rischi inconsapevoli e alla fine hanno pagato conti salati con un aumento delle tasse provocato dalla catena di salvataggi.
Tutto questo ha opacizzato per anni la lente che analizza il rapporto fondamentale tra rischio e rendimento: al punto che il mondo degli investitori istituzionali e dei risparmiatori non aspetta altro che il ritorno a una sana "normalizzazione" delle condizioni di mercato. Un titolo di Stato a tasso negativo proprio non aiuta. Una curva "normale" dei rendimenti di strumenti con rating "AAA" e un'inflazione normale attorno al 2%, sono i presupposti per tornare a valutare correttamente l'adeguatezza della remunerazione dei rischi.
Il bail-in decollato il primo gennaio va inserito in questa cornice ed è un passo importante verso la normalità: dopo il crack di Lehman Brothers e una crisi bancaria che ha messo i paesi occidentali in ginocchio, le banche ora sono molto più solide di allora, sono maggiormente capitalizzate in base a una valutazione più prudenziale dei rischi in bilancio. Il bail-in arriva dopo che il rischio di insolvenza delle banche è stato molto attenuato, ma non artificialmente rimosso del tutto. Nel caso estremo di una banca sull'orlo del dissesto in futuro non sarà più il contribuente a pagare il conto ma coloro che in quella banca hanno investito e dato fiducia: tramite azioni, obbligazioni, subordinati e depositi oltre la soglia dei 100mila euro.
Essere consapevoli del rischio, che sempre c'è in un investimento finanziario, è il punto di partenza dal quale partire sempre e comunque per poi pretendere una giusta remunerazione. La possibilità che uno Stato possa fallire, per quanto remota, è inferiore a quella dell'insolvenza di una banca tutta domestica che vi risiede. Ne consegue che a parità di durata e liquidabilità, i rendimenti dei titoli di Stato sono più bassi di quelli delle obbligazioni bancarie. All'interno degli strumenti della raccolta bancaria, e in assenza di bail-out a carico dei contribuenti o di garanzie erogate da organismi o istituti esterni, il bail-in si limita a sottolineare le diverse rischiosità: le azioni sono più rischiose delle obbligazioni, e tra i bond quelli senior sono meno rischiosi dei subordinati e i covered bond sono tra tutti i meno rischiosi perchè garantiti, oltrechè dal patrimonio della banca, dal flusso di cassa generato da un portafoglio di asset segregati. La novità della nuova normativa Ue sui salvataggi bancari, dove i senior bond sono dichiaratamente "bail-in-able", costringerà tanto l'emittente banca quanto l'investitore sottoscrittore di obbligazioni a remunerare correttamente un rischio di credito che non verrà più spalmato su contribuenti inconsapevoli.
La complessità che ne consegue è decisamente più gestibile delle anomalie. E' prevedibile che in seguito al bail-in fioriranno nuove classi di senior bond (è già successo in Francia) o tipologie innovative di subordinati e l'investitore-risparmiatore, se deciderà di esporsi a quei rischi per una remunerazione più alta rispetto al titolo di Stato, dovrà studiare per bene anche il prospetto più snello. Questa normalizzazione è la benvenuta.

di Isabella Bufacchi, da Il Sole 24 Ore


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