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Ciambetti: vermi, insetti, ragni, carne agli estrogeni, ogm nei menù. Ma lo speo de osei è rigorosamente proibito

Di Redazione VicenzaPiù Domenica 14 Febbraio 2016 alle 21:00 | 0 commenti

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Riceviamo da Roberto Ciambetti, presidente Consiglio regionale Veneto, e pubblichiamo

Nella seduta sulla legge di stabilità e il Bilancio della Regione, è emerso il problema dell’impossibilità degli agriturismi come dei ristoranti in genere di cucinare selvaggina portata da cacciatori che organizzano per sé e amici dei momenti conviviali. La faccenda è una testimonianza singolarissima delle violente contraddizioni della nostra società contemporanea.

Per la legge italiana vigente, nulla vieta ai cacciatori di mangiare, a casa propria, uccelli e selvaggina, ma se un ristoratore viene sorpreso a servire poenta osei, o piatti a base di cacciagione di specie selvatiche non riproducibili in cattività, prende multe salatissime. In linea teorica, anche chi acquistasse da un amico cacciatore, e per mero consumo personale,  degli uccelli per altro regolarmente  catturati, potrebbe finire nei guai, visto che la legge proibisce e punisce la commercializzazione. Le multe sono più che salate e lo zelo con cui moderni inquisitori controllano e verificano il rispetto della norma ha fatto scomparire dai menù piatti della tradizione culinaria veneta e bresciano-bergamasca.
Quella norma alquanto restrittiva fu sollecitata dalle associazioni animaliste richiamando la normativa europea ispirata alla lotta al bracconaggio e all’importazione clandestina se non contrabbando di cacciagione priva di controlli.
Ciò non toglie il fatto per cui esista la contraddizione di una Europa Unita in cui in alcuni stati il commercio di selvaggina è ammesso in altri è negato . Sembra una faccenda di lana caprina, ma in realtà il diritto alla libera circolazione delle merci, pilastro comunitario, è, nei fatti, minato: non possiamo acquistare dalla Scozia selvaggina da consumare in un ristorante, in un agriturismo ma neanche a casa nostra:  è un paradosso.  
La norma, in Italia,  è severa e complicata al punto tale da obbligare i cacciatori a mettere per iscritto la provenienza della fauna,  obbligo che, in un Paese dove circolano  liberamente migliaia di clandestini senza documento alcuno (copyright Stefano Valdegamberi) per alcuni aspetti sembra una forma di surrealismo burocratico.
Certo, colpisce una Europa Unita a due velocità anche sulla caccia,  una Europa che proibisce lo spiedo di uccelli mentre dà il via libera all’inserimento nei menù di insetti, vermi, larve, scorpioni e ragni, alghe, prodotti di colture cellulari, nuovi nanomateriali e coloranti: il tutto mentre all’orizzonte si profila, grazie al Ttip (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti)  nel nome dell’armonizzazione commerciale tra Usa ed Europa l’invasione negli scaffali dei nostri supermercati di carni americane imbottite di estrogeni, anabolizzanti e sostanze classificate come cancerogene nonché Ogm. E mentre noi imponiamo ai cacciatori l’obbligo di redigere rigorosa documentazione sulla selvaggina cacciata, mentre proibiamo la commercializzazione della cacciagione, per la carne impiegata nei ripieni per la pasta, omogenizzati dei bambini, insaccati, carni in scatola, sughi e piatti pronti in generale, freschi come surgelati,  non esiste l’obbligo di indicare l’origine della materia prima.  Mala tempora currunt. È proprio il caso di dirlo.

Leggi tutti gli articoli su: Roberto Ciambetti, cacciatori, Agriturismi

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