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Papa Francesco, la lotta contro i soldi "sterco del diavolo" e la fronda del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

Di Gianfri Bogart Lunedi 1 Febbraio 2016 alle 22:14 | 0 commenti

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Emiliano Fittipaldi, giornalista de L'Espresso e autore di "Avarizia", il libro-scoop sugli scandali finanziari della curia, ha scritto un articolo col titolo "Papa versus Cei" e col significativo sommario "Francesco è favorevole al raduno contro la legge sulle unioni civili. Ma non gli è piaciuto l'attivismo aggressivo deciso dai vescovi italiani". Ve ne proponiamo di seguito l'estratto sul potere economico e finanziario della Curia, il nemico diabolico combattuto da Francesco che oggi, scrive La Stampa su Vatican Insider, "ha messo in guardia i cinquemila religiosi e le religiose ricevuti in udienza per la conclusione dell'Anno della Vita consacrata, dal rischio di attaccarsi al denaro, «sterco del diavolo»...". Ecco cosa scrive Emiliano Fittipaldi.

Sia il Family day un successo o meno (da Faenza a Napoli passando per Padova e Vercelli più di un prete - mi hanno raccontato alcuni fedeli nei giorni scorsi - ha invitato durante
le omelie i devoti a partecipare al corteo) è certo che lo strappo non sarà facile da ricucire. Come accaduto Oltretevere, anche alla Cei Francesco sta tentando di scardinare vecchi
gruppi ancora dominanti, recalcitranti a mollare il governo di una struttura potente e mastodontica, di gran lunga la più importante e ricca Conferenza episcopale del mondo. Che non ha perso il vizio di stringere alleanze con i politici cattolici di ogni partito e dividersi in fazioni che lottano per il dominio dell'assemblea.
La partita, come sempre, è per il controllo della cassaforte. È noto che la Cei dal 1990 gode dei finanziamenti pubblici dell'8 per mille, una legge che - bilanci alla mano - in 26 anni ha portato nelle casse dei vescovi 19,3 miliardi di euro. Secondo l'ultima relazione della Corte dei Conti nel 2014 l'incasso è stato pari a un miliardo e 54 milioni, un tesoro ottenuto attraverso un sistema che per i magistrati contabili «ha contribuito a un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana, senza che lo Stato abbia provveduto ad attivare le procedure
di revisione di un sistema che diviene sempre più gravoso per l'erario».
Lo studio evidenzia poi la totale assenza di trasparenza sull'utilizzo dei fondi, e che solo il 23 per cento delle somme che gli italiani regalano alla Cei e all'Istituto centrale per il sostentamento del clero viene investito per fare beneficenza e per aiutare i più poveri, coloro
che - secondo la retorica del Vaticano di Bergoglio - dovrebbero incarnare il core-business della Chiesa.
Una percentuale criticata anche dalla Commissione paritetica Italia-Cei, che ha evidenziato la «non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi». Un vulnus
per il papa degli ultimi e per la Chiesa italiana: è vero che la legge prevede che
i soldi dei contribuenti possano essere spesi anche per le necessità dei sacerdoti e delle diocesi, ma dal 2004 al 2013 i vescovi hanno comprato, solo sulla Rai, 40 milioni di euro di spot pubblicitari che battono tutti sul medesimo storytelling: quello della carità.

La stragrande maggioranza dei denari serve invece a pagare gli stipendi di vescovi e preti, la costruzione di nuovi edifici di culto, il restauro delle chiese, o per finanziare «l'esercizio della cura delle anime», che si traduce in un sostegno alle facoltà teologiche, agli istituti di scienze religiose e alle necessità a favore «del clero anziano e malato», più non meglio definiti «mezzi di comunicazione sociale». Insomma al netto degli scandali a scadenza settimanale (recentemente l'ex vescovo di Trapani è stato indagato perché accusato di essersi appropriato di circa 2 milioni di euro dai fondi dell'8 per mille per comprarsi ville e bed&breakfast, mentre l'ex numero tre della Cei Domenico Mogavero è finito sotto inchiesta accusato di essersi appropriato di 180 mila euro dai conti della curia) non sembra che la Cei si sia adattata al nuovo corso. Un bilancio pubblico sull'uso dei miliardi avuti dai contribuenti non è mai stato pubblicato, i giri di affari con società private non sono cristallini, mentre la spending review non è mai cominciata. Basti evidenziare che tra organismi collegati direttamente e indirettamente ai vescovi si contano una cinquantina tra uffici, comitati, enti e fondazioni
(c'è la Caritas, certo, ma anche la "Commissione nazionale per la valutazione dei film" e "l'Ufficio nazionale per l'apostolato del mare"), ognuno con le sue uscite, i suoi monsignori, i suoi cda e i suoi collegi di revisori.

La rivoluzione tentata da Bergoglio trova alla Cei resistenze perfino superiori a quelle organizzate in curia.
È vero che qualche settimana fa il papa è riuscito a nominare a Palermo e Bologna due preti di strada come don Corrado Lorefice e Matteo Zuppi, bocciando i candidati dei cardinali Camillo Ruini e Giovanni Battista Re. Ma è un fatto che la riforma della Conferenza è ancora in mezzo al guado, e che la transizione rischia di durare troppo: Bagnasco - scelto da Benedetto XVI - nonostante sia da tempo inviso al gesuita argentino è rimasto al suo posto, mentre Nunzio Galantino, la quinta colonna che il papa ha voluto come segretario della Cei, è osteggiato ogni giorno dall'asse del Nord, la cordata di estrazione ruiniana composta dall'arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, da quello di Milano Angelo Scola e dal veneziano Francesco Moraglia. Una fronda potente, con cui Bergoglio non verrà facilmente a patti.


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