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Nuovo piano inceneritori: quello in Veneto non c'è più e quello AVA di Schio non crescerà

Di Edoardo Pepe Domenica 27 Dicembre 2015 alle 10:30 | 0 commenti

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Mentre nei primi giorni di dicembre a Parigi si discuteva di clima e tutela del Pianeta e le scarse precipitazioni preannunciavano il raggiungimento del picco di livelli di inquinamento dell'aria di questi giorni, una nuova bozza di decreto per la realizzazione di altri impianti di incenerimento - rivela IL Fatto Quotidiano - veniva indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, all'Ufficio di Gabinetto e alla Direzione generale del ministero dell'Ambiente. Dei 12 inceneritori previsti nella bozza di luglio ne rimangono nove ma "si salvano" Piemonte, Liguria e il nostro Veneto, mentre in Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Sardegna e Sicilia (lì sono previsti due nuovi impianti)) si dovranno bruciare 1.951.261 tonnellate di rifiuti l'anno.

Il Veneto, si legge su Il Fatto Quotidiano a firma Virginia Della Sala, è stato "eliminato" a fronte di "un ammirevole obiettivo di differenziata pari al 76%" che permette di non saturare gli impianti esistenti, tra cui quello di Cà Capretta a Schio di proprietà Ava, che per suo conto punta, come ci aveva dichiarato il sindaco Orsi, a non implementare una nuova linea che porti la sua capacità di incenerimento a 90.000 tonnellate annue, perché le ottantamila tonnellate attuali sono sufficienti a smaltire tutti i rifiuti da "bruciare" della provincia di Vicenza se continuerà ad avere successo anche nel Vicentino la campagna di raccolta differenziata. Con i 40 già attivi e i sei in fase di realizzazione, il totale sarà di 55 inceneritori in Italia.
Se complessivamente solo il Nord, con Veneto, Piemonte e Liguria, sarà risparmiato dalla costruzione di nuovi inceneritori sulla base dei nuovi conteggi, "i rifiuti della macroarea settentrionale - scrive Il Fatto - saranno dirottati in Lombardia dove, secondo questa nuova bozza di dlgs, c'è una sovra capacità di circa 550mila tonnellate all'anno. Sono però inseriti anche inceneritori di cui è stata già ufficializzata la data di spegnimento, come quello di Busto Arsizio, la cui estinzione è prevista nel 2017, mentre la regione Lombardia da mesi porta avanti una campagna per il decommisioning (spegnimento) degli inceneritori obsoleti".
I dati, aggiunge Virginia Della Sala , non sono rassicuranti: "Secondo i recenti rapporti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nonostante una lieve diminuzione tra il 2013 e il 2014, si è passati dai 3,8 milioni di tonnellate di rifiuti inceneriti nel 2005 ai 5,1 milioni dello scorso anno (+34,8%). A giugno, lo studio epidemiologico Arpa sull'inceneritore di Vercelli ha dimostrato che tra la popolazione esposta, la mortalità aumenta del 20% e la comparsa di tumori maligni del 60 (+400% al colon-retto e +180% al polmone)".
"Per essere economicamente sostenibile, un inceneritore deve avere una durata di almeno vent'anni - spiega a Il Fatto Enzo Favoino, esperto di temi ambientali e ricercatore della Scuola agraria del Parco di Monza - Un presupposto che rischia di ingessare gli scenari incrementali di raccolta differenziata". Se il piano di incenerimento si basa sulle percentuali della differenziata che la maggior parte delle regioni ha fissato come obiettivo minimo del 65 per cento, ad eccezione di Emilia Romagna (70 %), Toscana (70%), Umbria (68,6%), Marche (72,3 %), cosa accadrebbe se le regioni decidessero di aumentarle?
Il Fatto risponde così: "Secondo esperti e ambientalisti semplicemente con nuovi inceneritori le percentuali della differenziata non aumenteranno: se gli impianti bruciano meno, producono meno energia e ammortizzarne il costo sarebbe più complicato. Una volta che li hai costruiti, devi farli lavorare a pieno regime. Poi c'è un'altra stranezza: finora nei piani industriali - anziché considerare anche il costo di dismissione finale - si è tenuto conto del valore residuo delle installazioni. A Cremona, ad esempio, la dismissione dell'impianto è prevista nel giro di tre anni, mentre l'ammortamento dell'opera civile avrà bisogno di diversi decenni: per questo ora si discute dell'eventuale revamping, l'ammodernamento dell'impianto che, con lo Sblocca Italia, è entrato a far parte della rete nazionale. "Il ministero potrebbe prevedere piani industriali specifici - spiega Favoino - ma genererebbe tariffe di conferimento molto più alte. Gli ultimi inceneritori sono costati tra i 150 e i 450 milioni di euro: insostenibile spalmare questo investimento su dieci anni".


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