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Morti sul lavoro: non sono numeri, sono persone! Da inizio anno morte 90 persone, più di 200.000 incluse quelle in itinere

Di Giorgio Langella Domenica 6 Marzo 2016 alle 13:04 | 0 commenti

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A causa di infortuni nei luoghi di lavoro, dall'inizio dell'anno, sono morte 90 persone. E sono oltre 200 se si considerano i lavoratori deceduti in itinere e sulle strade. Il Veneto è la regione con più caduti sul lavoro, nove dall'inizio dell'anno (3 a Vicenza e Padova, 2 a Treviso, 1 a Venezia). Questi non sono numeri, sono persone uccise. Non si può leggere queste notizie e restare indifferenti di fronte a un massacro continuo che non può essere frutto del caso o del destino.

Si muore di lavoro e per il lavoro perché, nella società nella quale viviamo, la vita vale meno della ricchezza personale. Si muore perché il modello di sviluppo nel quale siamo costretti vivere impone regole inumane secondo le quali la vita è subordinata al profitto ed è diventata una infame normalità preferire il privilegio individuale ai diritti collettivi.

Ci fanno credere che questa società sia la migliore, anzi l'unica possibile. E intanto ci stiamo trasformando in ingranaggi di un sistema spaventoso che cancella i diritti collettivi ed esalta i privilegi individuali.

Ma noi vogliamo aprire gli occhi e gridare che non è normale morire di lavoro e per il lavoro. Che è inumano che questo avvenga per il profitto di chi sfrutta il lavoro altrui. Che non è accettabile che il primo diritto costituzionale, il lavoro, sia qualcosa che rende precaria l'esistenza stessa.

E, di fronte all'indifferenza che avvolge queste notizie, non possiamo dimenticare i morti di amianto dell'Eternit, i morti della Breda, chi è stato arso vivo alla Thyssenkrupp, chi è morto per i veleni dell'Ilva. Vogliamo ricordare chi è morto alla Tricom di Tezze sul Brenta e i lavoratori della Marlane-Marzotto di Praia a Mare divorati dal cancro ...

Vogliamo ricordare che, di queste tragedie, che sono dovute allo sfruttamento e a condizioni di lavoro insicure, raramente qualcuno viene dichiarato colpevole.

Non si può fare finta di niente. Chi muore di lavoro non è un numero di una statistica, né un sacrificio necessario a ingraziarsi qualche dio crudele. È una vita cancellata, un sentimento soppresso, un'intelligenza strappata a ognuno di noi.

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