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Il manager vicentino Paolo Scaroni e la sua ridicola difesa da parte di Nicola Porro

Di Rassegna Stampa Domenica 4 Ottobre 2015 alle 10:18 | 0 commenti

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Io Nicola Porro un po' lo conosco. È una persona molto intelligente e simpatica. Peccato che di obiettività non abbia nemmeno un grammo. Sicché può scrivere (il Giornale 3 ottobre) che l'innocenza di Paolo Scaroni, prosciolto dal reato di corruzione internazionale, dimostra la "straordinaria capacità del nostro Paese di farsi del male da solo... È illecito giudicare il comportamento di un manager per un semplice sospetto... L'Eni è stata tenuta per due anni in balia di un'accusa così grave".

Siccome lui è vicedirettore del suo giornale, è anche lecito pensare che il titolo del pezzo non sia stato concepito a sua insaputa; e che dunque abbia approvato che si scrivesse "L'Italia infangata per nulla" e "l'azienda e il Paese sono stati messi alla gogna dai magistrati".
Che Scaroni sia stato incriminato in base a un semplice sospetto è falso. La conversazione tra costui e l'allora ministro Corrado Passera (intercettata) è in effetti equivoca: Scaroni esprime la sua convinzione che siano state pagate tangenti in occasione di un mega contratto per ricerche e sfruttamento petrolifero; ma non da Eni, dalla controllata Saipem nella quale si appresta a far pulizia. Le parole del vertice di Eni non dimostrano certo la sua innocenza; potrebbe trattarsi di una ovvia autodifesa preventiva: il ministro gli chiede conto dell'indagine giudiziaria e lui mette le mani avanti. Ma nemmeno dimostrano la sua colpevolezza.

Però sta di fatto che Tali (ad di Saipem, la società che ha pagato la maxi tangente agli algerini) gli ha organizzato un incontro con il ministro dell'Energia, Khelil; e fin qui ci può anche stare: è in ballo un maxi contratto tra l'Algeria e Saipem, controllata da Eni. Ma all'incontro è presente Farid Bedjaoui, il mediatore che ha ricevuto da Saipem 197 milioni; pagati non a lui, come sarebbe stato ovvio in caso di mediazione ufficiale, ma a una società schermo di Hong Kong. Mentre non era presente Stefano Cao, dirigente per Eni della sezione Esplorazione&Produzione, direttamente responsabile di questo genere di attività.
Anche qui, potrebbe essere ragionevole pensare che Scaroni abbia voluto occuparsi direttamente della vicenda. Ma perché emarginare Cao? Anche questi se ne stupisce, tanto che dichiara ai pm che era assolutamente anomalo che Tali avesse rapporti diretti con Scaroni su temi di competenza della divisione E&P. Gelosie di un manager di secondo livello scavalcato? Mah. Certo è che esiste una mail con la quale Scaroni chiede a Tali se è meglio che lui vada a un incontro con Farid da solo o in compagnia di Cao. La risposta è suggestiva assai: si tratta di argomenti non particolarmente riservati, secondo me ci può essere anche Cao. Insomma, con tutto il rispetto per il Gip (che degli atti processuali ha una conoscenza completa e non frammentaria come me), la decisione di non rinviare a giudizio Scaroni non sembra ragionevole. E comunque non si può certo dire che Eni e il suo ad siano stati messi alla gogna (in realtà legittimamente indagati) in base a un semplice sospetto.
Così come prendersela con la legge 231/2001, che prevede la responsabilità amministrativa da reato delle società (se i vertici hanno commesso reati, la società deve pagare sanzioni pecuniarie anche di una certa rilevanza), sostenendo che "rischia di paralizzare e commissariare la vita dei pochi colossi che ancora ci restano", è privo di senso.
Ovviamente la società non può commettere reati; questi li fanno gli amministratori e i dirigenti. Ma se si prova che reati sono stati commessi e che la società è gestita da delinquenti, l'unica soluzione è, per dirla con Porro, commissariarla. O si vuole un'associazione a delinquere legalizzata, con tanto di statuto, organi sociali e bilancio (ovviamente falso, ma questo ormai non è più un problema)?
 

Di Bruno Tinti, da Il Fatto Quotidiano


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