I derivati bruciano il tesoretto dell'Italia: quattro miliardi all'anno di interessi annacquano gli effetti del Quantitative Easing
Martedi 19 Gennaio 2016 alle 21:09 | 0 commenti
Così è sfumato il tesoretto. Le misure della Bce hanno garantito al Tesoro risparmi per 5 miliardi. Che le perdite sui derivati hanno però quasi vanificato. Lo rivelano i dati ufficiali
Come se non ci fosse Mario Draghi. Come se la Banca centrale europea (Bce) non avesse mai lanciato il "quantitative easing", la massiccia manovra di sostegno all'economia dei Paesi dell'Eurozona. Come se i tassi d'interesse sul debito pubblico non fossero da tempo crollati in prossimità dello zero. È questo l'effetto paradossale che il Tesoro è costretto ad affrontare negli ultimi mesi a causa dei cosiddetti derivati sottoscritti negli anni passati con le banche internazionali, i cui contratti sono tenuti sotto stretto riserbo.
In poche parole: mentre il debito pubblico costa allo Stato sempre meno in termini d'interessi, grazie agli interventi effettuati dalla Bce di Draghi, i derivati si stanno mangiando per intero o quasi i risparmi che ne dovrebbero venire, costringendo il Tesoro a un esborso crescente.
L'amara verità emerge dalla risposta che il ministero dell'Economia ha fornito il 22 dicembre a un'interrogazione presentata dal Movimento 5 Stelle. Nel documento gli uffici di Pier Carlo Padoan hanno messo per la prima volta nero su bianco alcune cifre destinate a far discutere. Hanno reso noto che nel 2015 i derivati sono costati al Tesoro un flusso negativo in termini di interessi di 3,6 miliardi. E hanno aggiunto che nel 2016 la spesa è prevista salire a 4,1 miliardi.
Quello appena iniziato, dunque, rischia di essere un anno durissimo su questo fronte della spesa pubblica. In una precedente interrogazione, Padoan aveva infatti rivelato che, su uno dei vari derivati, esistono clausole che entro il prossimo marzo daranno alla banca che l'ha sottoscritto la possibilità di chiuderlo, facendosi liquidare dal Tesoro una cifra stimabile oggi in 849 milioni. Sommando quest'ultima voce agli altri 4,1 miliardi di interessi "normali", dunque, nel 2016 il costo dei derivati per lo Stato rischia di sfiorare i 5 miliardi di euro.
Si tratta di numeri pesanti. Che, di fatto, vanificano buona parte dell'effetto sui conti pubblici delle misure d'emergenza della Bce. Stando ai dati Istat, da gennaio a settembre lo Stato ha speso in interessi sul debito pubblico 51,9 miliardi, rispetto ai 55,3 miliardi del 2014. Se la discesa fosse proseguita a velocità analoga fino al termine del 2015, ne verrebbe un "tesoretto" di 5,6 miliardi, di cui Padoan e il governo Renzi non possono però godere appieno. Proprio perché il costo dei derivati, strumenti che impegnano le parti a scambiarsi flussi di pagamenti che variano a seconda di come muta il mercato, sta aumentando sempre più. «Le cifre fornite dal Tesoro confermano la nostra analisi: i derivati sono stati un affare cattivo per lo Stato e un ottimo per le banche», dice Carla Ruocco, che fa parte del gruppo di deputati dei Cinque Stelle che hanno firmato le interrogazioni. Che annuncia: «Non ci fermeremo: continueremo a fare domande per capire gli aspetti che restano aperti. Perché i dati forniti, interrogazione dopo interrogazione, mostrano che con i derivati c'è qualcuno che ha sempre perso, ed è il Tesoro».
Nelle risposte arrivate il 22 dicembre dagli uffici di Padoan, in effetti, ci sono vari punti che suscitano interrogativi. Il più critico riguarda i derivati che il Tesoro chiama "di duration" e sui cui si stimano perdite per circa 33 miliardi. «Emerge sempre più che questi derivati non hanno prodotto alcun beneficio se non un impercettibile allungamento della scadenza media del debito pubblico, pari ad appena 84 giorni. Un risultato che però costa allo Stato 33 miliardi, 400 milioni per ogni giorno di allungamento, quando sarebbe bastato semplicemente emettere Btp a scadenza più lunga», dice Nicola Benini, partner della società di consulenza indipendente Ifa Consulting, a cui "l'Espresso" ha chiesto di analizzare le novità venute alla luce nell'interrogazione.
Di Luca Piana, da L'Espresso
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