Quotidiano | Categorie: Politica

Alessandra Moretti si difende: "doverosa osservanza delle regole"

Di Rassegna Stampa Domenica 20 Settembre 2015 alle 14:58 | 2 commenti

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Alessandra Moretti, perché ha scelto di non rivelare i nomi dei suoi finanziatori?
«Non parlerei di una scelta ma piuttosto di una doverosa osservanza delle regole. Regole che impongono da un lato di depositare presso la magistratura e gli enti di controllo contabile la lista completa dei finanziatori della mia campagna elettorale, dall’altro di rispettare la volontà di riservatezza che alcuni di loro mi hanno rivolto.

È solo una questione di privacy, chi ha messo in piedi questa gazzarra può stare tranquillo: non ho commesso alcun illecito. Quanto ai giornali, fanno il loro lavoro ma non sono enti certificatori: quando e se lo diventeranno, allora comunicherò anche a loro le informazioni riservate. Fino a quel momento ritengo imperativo non rilasciare alcun nominativo».
Non è questione di illiceità ma di opportunità. Non crede che un cittadino abbia il diritto di valutare le scelte di un politico anche alla luce degli interessi di chi lo ha finanziato?
«Non mi pare giusto giudicare un industriale, come qualunque altro cittadino, sulla base del proprio credo politico. Non siamo in Corea del Nord. In Italia è stata fatta una battaglia importante per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e personalmente ritengo che il modo più trasparente per sostenere la politica sia quello utilizzato nella democrazia più antica del mondo, gli Stati Uniti, ossia attraverso le donazioni, che possono arrivare da una famiglia come da una grande azienda. Purché queste poi non vengano inserite in liste di proscrizione. Occorre uno sforzo culturale in questo senso, uno sforzo in parte già in atto: se 500 mila italiani hanno donato col 2 per mille 5,5 milioni di euro al Pd, un motivo ci sarà».
Perché un industriale dovrebbe temere che si sappia in giro il suo sostegno a questo o quel candidato?
«Perché in Italia, purtroppo, si tende a etichettare, politicizzare e strumentalizzare tutto. E qualcuno, comprensibilmente, teme ritorsioni. Davvero la caccia al nome mi pare poco rispettosa di chi, in fin dei conti, vuole soltanto partecipare alla vita civile e politica del suo Paese».
I partiti, però, devono rendere noti i loro finanziatori. Le fondazioni no. Lei sa che proprio il Pd ha depositato a giugno un progetto di legge per sanare questa anomalia?
«Certo e ha fatto bene, è giusto proseguire lungo la strada della trasparenza. Dopo di che la norma oggi è chiara: le fondazioni non hanno obbligo di pubblicità, associazioni e partiti sì. E se una norma è sbagliata va cambiata, non violata».
Perché creare una fondazione e poi un’associazione e non dirottare invece i finanziamenti direttamente sul Pd?
«La mia fondazione, Kairos, nasce per promuovere, supportare e conoscere la realtà economica italiana e veneta, coltivare una consapevolezza civica e il ricambio generazionale, ben prima dell’Associazione Moretti Presidente che è invece il contenitore elettorale della lista Moretti. La fondazione non ha scopi elettorali, l’associazione sì».
Fu un’idea di Dotmedia?
«No».
Se non aveva scopi elettorali, perché Kairos è già stata chiusa?
«Non è stata affatto chiusa. Al momento esistono sia la fondazione che l’associazione, in futuro vedremo. L’associazione forse cambierà nome, di sicuro continuerà a fare attività politica in Veneto».
Lei non pensa che i finanziatori privati poi chiedano conto dell’aiuto che hanno dato? La Lega, ad esempio, la accusa di essere una paladina della sanità privata perché tra i suoi sponsor ci sono svariate cliniche e case di cura.
«Non ci vedo nulla di male. L’attività politica, se fatta secondo coscienza, è sempre orientata al bene comune. Quando faccio una battaglia, la faccio sempre perché penso che possa migliorare la vita dei veneti, indipendente da chi ha finanziato la mia campagna elettorale. Quella battaglia ha poi delle ricadute positive anche per un certo settore economico? E allora? Non è forse un bene creare lavoro e sviluppo sul territorio?».
Così non si rischia di finire schiacciati sotto il peso delle lobby, per cui più uno le asseconda, più viene finanziato e più ha probabilità di farsi rieleggere?
«Guardi, quando ero europarlamentare la mia agenda era infarcita di appuntamenti con i lobbisti. A Bruxelles nessuno si scandalizza. I lobbisti ti presentano le loro istanze e i loro interessi, poi sta al politico mediare e scegliere, in modo trasparente e senza dietrologie. Quando scriviamo una legge di settore non ascoltiamo forse Coldiretti o Confindustria? Quando Zaia fa la battaglia per il Prosecco a me non passa proprio per la testa che lo faccia perché tra i suoi finanziatori di ieri o di oggi ci sono le grandi case vitivinicole del trevigiano. Sarebbe una scorrettezza. Penso, e spero, che lo faccia per sostenere un settore chiave della nostra economia».
Nel 2010 l’allora candidato del centrosinistra Bortolussi, sconfitto da Zaia, lamentò lo scarso impegno economico del Pd contro la macchina da guerra leghista. Lei ritiene di aver goduto di un budget adeguato (936 mila euro)?
«Sì. Parliamo di cifre importanti, che possono stupire, ma la campagna per le Regionali è una campagna di dimensioni eccezionali, dispendiosissima».
Col senno di poi, si è pentita di non essere ricorsa all’autofinanziamento integrale, come ha fatto Zaia?
«Nient’affatto. Abbiamo scelto un metodo innovativo, giocando secondo le regole. È surreale che ad aizzare i sospetti sia Zaia, che si trincera dietro il finanziamento pubblico e dietro le casse poco trasparenti del suo partito, le stesse casse da cui Bossi e Belsito prelevavano i soldi per investirli nei diamanti della Tanzania, salvati ora dalla rinuncia di Salvini alla costituzione di parte civile, che almeno avrebbe permesso di recuperare il maltolto. Io non uso i metodi stalinisti di Zaia e dei suoi gerarchi per annullare l’avversario politico. Al governatore rode che l’opposizione non sia supina come la sua maggioranza e prova ad imporre il “pensiero unico zaista”, pericoloso e antidemocratico. Scusi, ma a lei pare normale che se un giornalista gli rivolge una domanda sulla sanità o sull’esclusione del Veneto dalla Conferenza Stato-Regioni lui risponda: “Chiedete alla Moretti dei suoi finanziatori?”».

di Marco Bonet dal Corriere del Veneto

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Commenti

Inviato Lunedi 21 Settembre 2015 alle 06:56

Quando la privacy serve per non imbarazzare e imbarazzarsi.
Inviato Lunedi 21 Settembre 2015 alle 13:47

Ma la Kairos non è una Fondazione fondata dalla Moretti per il finanziamento alla sua campagna elettorale? Se non è così, chiedo scusa, ma la stampa ha scritto questo.
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